Il caso riguarda la moglie e il fratello della vittima di un sinistro stradale che ricorrono in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania denunciando, con il primo motivo, violazione di legge per mancata adozione delle Tabelle del Tribunale di Roma, non ritenendo censurabile l’applicazione di diverse tabelle di quantificazione del danno, rispetto a quelle di Milano, qualora non vi sia una sproporzione nell’applicazione fra le due tabelle.
Il giudice di secondo grado, infatti, accogliendo l’appello proposto dall’impresa di assicurazione, aveva applicato le tabelle milanesi per la loro “vocazione nazionale”, pervenendo così alla liquidazione di un importo inferiore rispetto a quello determinato dal Tribunale di Siracusa che, in realtà, applicando le tabelle romane in primo grado, non aveva liquidato il danno in modo “sproporzionato” rispetto alla quantificazione consentita dall’adozione di quelle milanesi.
La Cassazione, con sentenza n.10579 del 21 aprile 2021, ha dichiarato fondato questo motivo di ricorsoaffrontando una questione giuridica riguardante, specificatamente, il profilo del danno cd. parentale, giudicando “non recessivo” il rapporto intercorrente tra le tabelle romane e quelle milanesi nella liquidazione di questa tipologia di danno.
A tal proposito la Cassazione chiarisce, preliminarmente, che la liquidazione del danno patrimoniale, mediante valutazione equitativa, ha il carattere di norma del caso concreto e non di applicazione di una fattispecie generale e astratta, pertanto, “la determinazione del danno biologico corrisponde alla concretizzazione nel particolare episodio di vita di una clausola generale”.
Tale esigenza sorge dalla necessità di garantire l’uniformità di trattamento nei giudizi aventi ad oggetto la domanda di risarcimento del danno biologico quando, la mancanza di criteri stabiliti dalla legge, rende indispensabile l’adozione della regola equitativa, di cui all’art. 1226 cod. civ., che, al fine di evitare che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da giudici differenti, deve assicurare:
- un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto;
- l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi.
Le Tabelle di Milano, secondo consolidata giurisprudenza, costituiscono parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge di cui all’art. 1226 cod. civ.
Pertanto, in virtù del fatto che tali tabelle si sostanziano in “regole integratrici del concetto di equità”, costituendo un criterio guida e non una normativa di diritto, la giurisprudenza di legittimità ha di recente affermato che “il giudice ha la possibilità di discostarsi dai valori tabellari a condizione che le specificità del caso concreto lo richiedano ed in sentenza sia fornita motivazione di tale scostamento”.
La sentenza in commento ripercorre, sul piano metodologico, le regole del nostro ordinamento giuridico, fondato sulla supremazia della Costituzione, che risultano sempre la risultante del bilanciamento di principi e valori costituzionali, evidenziando l’importanza delle “clausole generali, in grado di fissare per il giudice il criterio di identificazione della regola giuridica relativa al caso concreto.”
La Corte di Cassazione, mediante un raffinato ragionamento giuridico, delinea così il dispiegarsi di un “diritto casistico” per clausole generali, parallelo alla “giurisdizione per fattispecie legali”, capace di modellare e adeguare la norma del caso concreto al “nuovo episodio di vita”, mediante “il gioco dell’uniformazione e distinzione dai precedenti casi concreti sulla base del grado di analogia dei fatti.”
E’ proprio all’interno di questa logica che la Cassazione colloca le tabelle elaborate dagli uffici giudiziari per la liquidazione del danno non patrimoniale, scaturite sulla base del sistema del punto variabile che, a differenza della tabella unica nazionale prevista dall’art.138 Cod.Ass., non costituisce una norma di diritto positivo ma del “diritto vivente”, riconosciuto dalla stessa Corte.
Pertanto, l’omessa o erronea applicazione delle tabelle milanesi ha comportato, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, l’integrazione della violazione dell’art. 1226 cod. civ., tuttavia, non avendo tale tabella la cogenza del dettato legislativo, è sempre consentito al giudice di liquidare il danno oltre i valori massimi o minimi previsti dalla stessa, “in relazione a casi la cui eccezionalità, specificatamente motivata, fuoriesca ictu oculi dallo schema standardizzato.”
La tabella milanese, a proposito della liquidazione del danno cd. da perdita parentale, non segue “la tecnica del punto varabile” ma si limita ad individuare un tetto minimo ed un tetto massimo fra i quali, peraltro, ricorre una differenza ampia e significativa che, in questo caso, non garantisce la stessa uniformità e prevedibilità dell’individuazione di un sistema a punti variabili.
Pertanto, ove la liquidazione del danno parentale sia stata effettuata senza seguire una tabella basata sul sistema a punti, l’onere di motivazione del giudice di merito sorge nel caso in cui si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che risulti inferiore o sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri di tale tabella avrebbe consentito di pervenire.
I giudici di merito hanno il dovere di motivare in tali circostanze, in quanto, “la valutazione equitativa del danno, nella sua componente valutativa, si identifica con gli argomenti che il giudice espone.”
La Cassazione, dopo aver chiarito che tale decisione si colloca in una progressione evolutiva verso un livello massimo di certezza, uniformità e prevedibilità che solo l’adozione di una tabella nazionale unica potrà garantire, cassa la sentenza della Corte d’Appello di Catania, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale in diversa composizione.
In conclusione, il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, a cui dovrà uniformarsi il giudice di merito, è il seguente:
“al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”.